Intervista a Vendola da Il Manifesto: Di Pietro torna il moderato delle origini. E alla fine ripropone hgli incontri fra leader nelle stanze chiuse
Di Pietro dice a Bersani di darsi una mossa e convocarvi. E a voi di Sel, Vendola, di non anteporre le primarie al programma.
Non mi piace l’atteggiamento di chi ha sempre addosso una toga e un dito puntato. Propongo a tutti una clausola di stile: evitiamo gli effetti speciali. Capisco il problema di Di Pietro: vede esaurito lo spazio della rincorsa a sinistra. E sceglie di ricollocarsi come ala destra del centrosinistra. In sostanza torna al moderatismo radicale delle origini. Intendiamoci, non è trasformismo, solo un riposizionamento. Ma è inaccettabile il modo: offre un argomento formidabile a una maggioranza allo sbando, attacca Bersani e me dicendo che non c’è l’alternativa. E propone il tema del programma nella forma più vecchia e politicistica: lui, io e il leader Pd dovremmo riunirci in una stanza per scrivere il libro del futuro?
Non ci sta?
Ma sarebbe capovolgere il significato di quello che è accaduto in Italia nelle ultime settimane. Sottrarre alla partecipazione democratica, a quel diritto di ingerenza che ha scompaginato i giochi ai referendum, l’oggetto vero del cambiamento, e cioè le scelte che devono riguardare la vita, il lavoro, la scuola, l’ambiente, la parità di genere. Facendo leva su un punto vero, il ritardo di tutti noi a mettere in campo quel processo e quel cantiere oggi maturi.
Ecco, nel merito l’ex pm ha ragione.
Non se riduce l’alternativa a un problema di agreement fra stati maggiori.
Quando invece chiedete primarie di programma che proponete nei fatti?
Faccio un esempio che mi riguarda: se nelle primarie pugliesi avesse vinto Francesco Boccia (deputato Pd, due volte sconfitto da Vendola, ndr) il più grande acquedotto d’Europa, il nostro, sarebbe stato privatizzato. Era immaginabile decidere del sì o no alla privatizzazione in un incontro riservato del centrosinistra? Invece ha deciso il popolo. E per piacere, non facciamo un’inutile disputa nominalistica sulla nozione di popolo. Ma il Pd alla direzione di oggi (ieri, ndr) ha fatto scelte importanti. Ha superato il dibattito su primarie sì o no, oggi siamo al come e al quando. E se posso dire una cosa a Bersani sul come, più vasta è la platea più rappresentano il cambiamento.
Insisto: in concreto cosa sono le primarie sul programma?
Nella contesa bella, spero, incassiamo le convergenze, penso alla tassazione delle rendite, e discutiamo alla luce del sole sui punti di divergenza. Per esempio di cosa significa fuoriuscire dal contratto nazionale con il rischio di far schiantare la condizione di lavoratrici e lavoratori. Di questi temi, ormai liberi da ipoteche ideologiche, non è forse giusto parlare dentro la piazza, perché la politica non sia un discorso calato dall’alto?
Parlate di una nuova sinistra unitaria, ma Bersani non risponde.
Il popolo del centrosinistra è mescolato, arricchito dalle competenze e dalle passioni di tanti senza tessere in tasca. La politica non si esaurisce nel recinto dei partiti. E la forza di alcune questioni, sottovalutate anche dal centrosinistra, è evocare una nuova fondazione della res publica, la trama dei beni comuni, il primato dell’interesse collettivo, un’idea forte di socialità.
Non è rischioso convocare i gazebo prima di sapere quando si vota?
Ormai è possibile mettere le primarie in calendario. Senza paura del confronto tra noi. Non ho la sindrome del vampiro, non ho l’ossessione di erodere consensi al Pd. Ho lavorato a costruire un soggetto politico il cui obiettivo non fosse l’autosufficienza. E lo stile non fosse la boria di partito.
Lei definisce Sinistra ecologia libertà ’movimento’, non partito. Non a tutti piace, in Sel.
Movimento è più importante, comprende il partito, ma più tante altre cose. Bisogna essere laici, non avere atteggiamenti feticistici verso i luoghi che costruiamo. Sono solo strumenti.
Ma se non chiedete un tavolo dei leader, dove dovranno essere decise le primarie e il programma?
Non dico che gli incontri fra noi non siano importanti. Ma dobbiamo dare segnali all’altezza dell’attesa che si è creata nel paese. Si tratta di costruire anche momenti simbolici.
Come si immagina questi ’momenti’ simbolici?
Non voglio immaginare niente, non mi interessa avere il copyright di nulla. Tanta Italia ci guarda con molta speranza e qualche ansia. Dobbiamo interrogarla, continuare a farla sentire protagonista, chiederle di aiutarci a scrivere l’agenda del cambiamento. Faccio un esempio: le mobilitazioni nella scuola, nell’università, nella cultura hanno squadernato una straordinaria dimensione di competenze a cui è indispensabile attingere. Oppure: ora tutti si accorgono di quanto sia catastrofica la dimensione della precarietà. Il mondo dei precari racconta storie, propone scelte. Vogliamo ascoltarli? Ho in testa la stagione milanese: una riappropriazione della politica come dello strumento che ti fa capire dove siamo finiti. Il berlusconismo è stato la più grave forma di privatizzazione della politica. Gramsci avrebbe detto ’rivoluzione passiva’. Il centrosinistra non può che essere il contrario della passivizzazione.
Questa piazza comune include la Federazione della sinistra? Loro temono che vogliate tenerli fuori.
Figuriamoci se è mia intenzione escluderli. Sono io oggetto di un atteggiamento schizofrenico: un giorno la proposta unitaria, un altro la contumelia. Mi piacerebbe tornare a discutere con loro. Vedo che anche nel dibattito interno si sollevano critiche alla marginalità e all’orgoglioso sconfittismo a cui sembrano candidarsi. Per quanto mi riguarda, chi declina la radicalità in termini di minoritarismo non sta sulla mia strada. Detto questo, lotterò perché non ci siano esclusioni a sinistra. Ma il tema è l’autoesclusione di chi considera il terreno del governo come una sorta di perdizione e quello dell’opposizione una salvazione.
Non le dispiace essere considerato un populista di sinistra?
Se posso fare la parte del vanitoso, no. Faccio tendenza. Le espressioni che ho inventato, dalla «rivoluzione gentile» all’«Italia migliore», alla «narrazione», sono state imitate e emulate. Ma lascerei correre questa discussione stucchevole. Oggi (ieri, ndr) Massimo Mucchetti, economista rigoroso, elogia sul Corriere della sera il lavoro del presidente Vendola sull’acquedotto pugliese. Ecco cosa intendo: sento il dovere di sottrarmi alla scorciatoia della bella sconfitta. Siamo chiamati a organizzare la speranza e a trasformarla in un blocco sociale, una nuova egemonia culturale.
Daniela Preziosi
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